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Tornati
a Palermo ci attende un curioso caso, l'Arco che collega Piazza
Indipendenza con la Cattedrale è stato chiuso a causa di
presunte cadute di calcinacci proprio durante la nostra assenza,
quindi per guadagnare il centro bisogna fare il giro del
quartiere, passando in zone non proprio turistiche, fino a
raggiungere la Cattedrale, dove decidiamo di entrare per
visitarla e per beneficiare di qualche minuto di fresco dopo
l'imprevista scarpinata.
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L'interno ha subito profonde trasformazioni tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, è a croce latina con tre navate divise da pilastri (gruppi tetrastili con 4 colonne incastonate provenienti dalla antica costruzione
rogeriana[non chiaro]) con statue di santi che facevano parte della decorazione della tribuna del
Gagini. Nella navata destra, la prima e la seconda cappella, comunicanti fra di loro, custodiscono le tombe imperiali e reali dei normanni, intorno alle quali ruota una storia romanzesca e ricca
d'interesse. Ruggero II, re dal 1130, aveva stabilito già nel 1145 che il Duomo di Cefalù da lui fondato diventasse il mausoleo della famiglia reale.
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In tal senso aveva predisposto la sistemazione di due sarcofagi in porfido, un granito molto prezioso e di notevole durezza, originario dell'Egitto, dal colore rosso cupo che, nell'antichità, era usato esclusivamente per le commissioni imperiali. Alla sua morte nel 1154, però, egli venne sepolto nella cattedrale di Palermo in un avello di porfido dalla forma molto più semplice.
Nel 1215 Federico II fece trasportare i due sarcofagi da Cefalù alla cattedrale di Palermo destinandoli a sé e al padre Enrico VI.
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Il sarcofago di Federico II è sormontato da un baldacchino con colonne in porfido e l'urna è sorretta da due coppie di leoni; insieme a quelli di Federico II sono stati conservati anche i resti di Pietro II d’Aragona. Le altre tombe sono quelle di Costanza d'Aragona (1183-1222), sorella del re d'Aragona e moglie di Federico
II, di Gugliemo, duca d'Atene figlio di Federico III d'Aragona, e dell’imperatrice Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II e madre di Federico
II. Sul pavimento della navata centrale è stata realizzata, durante i rifacimenti moderni, una meridiana in marmo con tarsie colorate che rappresentano i segni zodiacali, (opera di Giuseppe Piazzi astronono qui collocata nell'anno 1801).
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Il ricco altare del Sacramento, in bronzo, lapislazzulo e marmi colorati, è stato realizzata su disegno di Cosimo
Fanzago(XVII secolo). Nel presbiterio si dispone il bellissimo coro ligneo
tardo quattrocentesco in stile gotico-catalano e il trono episcopale, ricomposto in parte con frammenti d'antichi mosaici del XII secolo. Durante la fase dei restauri della fine del XVIII secolo, fu incaricato il pittore di Sciacca Mariano Rossi di decorare la cattedrale. Gli affreschi, secondo il disegno originale, dovevano ricoprire il catino dell'abside, la volta del coro, la cupola e la navata centrale, e dovevano rappresentare idealmente il ristabilimento della religione cristiana in Sicilia ad opera dei Normanni.
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Mariano Rossi iniziò nel 1802 e non terminò tutto il lavoro, ma ancora oggi si possono ammirare gli affreschi nel catino dell'abside, dove sono rappresentati Roberto il Guiscardo e il conte Ruggero che restituiscono la chiesa al vescovo Nicodemo e nella volta del coro, dove è dipinta l'Assunzione di Maria Vergine.
A destra del presbiterio si trova la cappella di Santa Rosalia, patrona di Palermo, con le reliquie e l'urna d'argento, opera seicentesca di Matteo Lo Castro, Francesco Ruvolo e Giancola Viviano, portata in processione durante la festa patronale il 15 luglio.
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I due altorilievi di Valerio
Villareale, rappresentano: Santa Rosalia invoca Cristo per la liberazione della peste e l'Ingresso delle gloriose reliquie di Santa Rosalia a Palermo. Oltre al coro ligneo in stile gotico-catalano del 1466 e ai resti marmorei della tribuna gaginiana riadattati, di alto interesse artistico sono la statua marmorea della Madonna con Bambino di Francesco Laurana, eseguita insieme ad altri aiuti nel 1469, la pregiata acquasantiera (posta al quarto pilastro) opera incerta di Domenico Gagini e la Madonna della Scala eseguita nel 1503 da Antonello Gagini e posta sull'altare della sacrestia
nuova.
Sulle cantorie neoclassiche ai lati dell'abside, si trova l'organo a canne Tamburini opus 305, costruito nel 1951.
Lo strumento è a trasmissione elettrica ed ha consolle mobile indipendente situata nel presbiterio nel pressi dell'antico altare maggiore, avente quattro tastiere di 61 note ciascuna e pedaliera
concavo radiale di 32 note.
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Le campane medioevali sulle torri del complesso erano sei. Nel 1893 la ditta Cavadini di Verona fornì un complesso di cinque bronzi in scala di Re3 con il maggiore del peso di 12 q.li. Furono montati per essere suonati a concerto secondo la tecnica delle Campane alla Veronese. Nel 1942 vennero requisite ed in seguito la ditta De Poli fornì l'attuale complesso ad otto elementi in Sib2 montato con il sistema ambrosiano.
In alcuni ambienti è esposto il "tesoro della cattedrale": paramenti sacri dal XVI al XVIII secolo, paliotti, ostensori, calici, un breviario miniato del Quattrocento, la tiara d'oro di Costanza d'Aragona (prelevata dal suo sepolcro), splendido esempio di gioielleria medievale con smalti, ricami, gemme e perle. Altri oggetti preziosi, smalti, ricami e gioielli, sono esposti nelle bacheche centrali come per esempio il breviario membranaceo del 1452 con lo stemma dell'Arcivescovo Simone da Bologna, miniato dal pittore Guglielmo da Pesaro e da altri miniatori; il calice di tipologia madonita della seconda metà del XV
secolo. |
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Il reliquiario architettonico del XV secolo caratterizzato da guglie e pinnacoli che rinviano allo stile gotico-catalano dell'epoca oppure il calice seicentesco ornato da smalti policroni e gemme, opera dell'orafo palermitano Don Camillo
Barbavara.
Dal lato sinistro della cattedrale s'accede alla cripta con le volte a crociera sostenute da colonne di granito: questo luogo di grande suggestione contiene le tombe e i sarcofagi d'età romana. Tra i personaggi famosi racchiusi in questa cripta, va ricordato l'arcivescovo Giovanni Paternò, morto nel 1511, che fu il mecenate di Antonello Gagini il quale ne scolpì la commovente immagine giacente.
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Marcello
Salvi
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